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Articoli :: Corte di cassazione - Sentenza n. 1104 del 18/01/2007

21 Feb 2007

Lavoro

Divieto di intermediazione di manodopera o di fornitura di lavoro temporaneo




Corte di cassazione - Sentenza n. 1104 del 18/01/2007
Divieto di intermediazione di manodopera o di fornitura di lavoro temporaneo

Il lavoro nei porti può essere appaltato a più aziende concorrenti ma non ad una sola impresa appaltatrice di manodopera; secondo la Corte di Cassazione questo è il principio che ha guidato la Corte di Giustizia nelle due sentenze relative al Codice della navigazione italiano nell'ambio dei porti.

Il codice riconosce una deroga al generale divieto d'intermediazione di manodopera a favore delle compagnie dei lavoratori portuali; la Corte di cassazione spiega che tale  sistema è stato oggetto di dubbi non per la deroga ma per il monopolio che il Codice riserva alle compagnie suddette.

Tale monopolio ha portato la Corte di giustizia a ritenere sussistente un contrasto tra la normativa italiana e quella comunitaria.

Di conseguenza, la fornitura di manodopera o di lavoro temporaneo è lecita: la legge italiana, invece, non può costituire un monopolio in materia.

________________

Oggetto: Divieto di intermediazione di manodopera o di fornitura di lavoro temporaneo

Svolgimento del processo

1. Con ricorso depositato in data 19.2.1999, la spa L. S. C. T. — LSCT — proponeva opposizione avverso decreto ingiuntivo emesso in favore dell’INPS per lit. 11.284.039.510 e accessori, a titolo di contributi evasi nel periodo da luglio 1990 a maggio 1994, allorché la LSCT aveva occupato n. 236 lavoratori in violazione dell’art. 1 della Legge n. 1360.1960. L’opponente deduceva preliminarmente la carenza del presupposti per l’emissione del decreto ingiuntivo, essendo al riguardo insufficienti Le attestazioni di credito dell’Istituto ed il verbale di accertamento. Nel merito, la LSCT deduceva che i rapporti contrattuali, aventi ad oggetto le prestazioni di ‘rizzaggio’ e ‘derizzaggio’ dei containers erano del tutto legittime e regolari. La società opponente invocava in particolare la sentenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea in data 23.2.1997 n. 163 "Raso", sentenza emessa nel processo penale cui il legale rappresentante di essa LSCT era stato sottoposto. In subordine, la ricorrente chiedeva nuova rimessione della questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia della Comunità Europea. 

2. Si costituiva l’opposto INPS e deduceva, in via subordinata, che in ogni caso i contributi erano dovuti in virtù della responsabilità solidale facente carico alla LSCT a sensi dell’ari 3 della citata Legge n. 1360.1960. A tale subordinata prontamente si opponeva la LSCT, in quanto domanda nuova ed inammissibile. 

3. Il Tribunale della Spezia accoglieva l’opposizione, motivando nel senso che la legge sopravvenuta n. 81.1994 aveva riformato la disciplina del lavoro portuale definitivamente superando la riserva di cui agli artt. 110 e 111 del Codice  della Navigazione in favore delle compagnie portuali; che la nuova disciplina aveva riconosciuto la possibilità di appaltare operazioni portuali sia alle vecchie compagnie, sia a imprese munite di apposita autorizzazione; tali imprese, in concorrenza tra loro, potevano prestare servizi portuali in deroga all’art 1 della Legge n. 1369.1960; che ciò derivava dalle pronunce della Corte di Giustizia della Comunità Europea; che la tutela previdenziale dei lavoratori andava ricercata nella responsabilità delle imprese da cui gli stessi dipendevano; che non ricorrevano i presupposti per un nuovo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia della Comunità Europea; che la serie di Decreti Legge succedutisi nel tempo e non convertiti non poteva essere applicata; che prima della Legge n. 81 .1994 la disciplina in vigore rimaneva quella di cui agli artt. 110 e 111 C.N. , peraltro ritenuti incompatibili col Diritto Comunitario dalla Corte di Giustizia della Comunità Europea; che la subordinata, basata sull’art. 3 della ridetta Legge n. 1369.1960, sarebbe inaccoglibile perché idonea a svuotare la "regula iuris" sancita dalla Corte di Giustizia della Comunità Europea. 

4. Proponeva appello l’INPS insistendo nella proprie deduzioni. Si costituiva la ESCI per contrastare l’impugnazione avversaria e ribadire le proprie tesi. La Corte di Appello confermava la sentenza di primo grado; questi, in sintesi, i motivi della sentenza di appello: 

- trattasi del periodo luglio 1990 — maggio 1994, in cui era in vigore il monopolio delle compagnie portuali, in deroga alla Legge n. 1369.1960; trattasi di riserva "in senso proprio", in cui non opera il generale divieto di interposizione e di intermediazione di mano d’opera; 

- tale sistema è stato dichiarato incompatibile col Diritto Comunitario dalla Corte di Giustizia della Comunità Europea, dapprima con la sentenza 10.12.1991 C 179-90 "Gabrielli" e successivamente, con riferimento agli artt. 17 e 21 della Legge n. 84.1994, dalla sentenza 12.2.1998 C 163-96 "Raso"; 

- nell’ambito portuale, le imprese che forniscono mano d’opera sono sottoposte a vigilanza e controllo dell’autorità portuale, ed operano in regime di concorrenza fronteggiando la naturale fluttuazione delle necessità dei lavori nel porto; 

- il potenziale effetto espansivo dell’art. I della Legge n. 1369.1960 invocato dall’INPS viene neutralizzato dalla diretta applicazione delle sentenze della Corte di Giustizia della Comunità Europea, il cui "effetto utile" è quello sopra ricordato; 

- la tesi incentrata sull’ari. 3 della citata Legge n. 1369.1960 parimenti non è accoglibile, "perché finirebbe anch’essa per svuotate la regola comunitaria indicata dalla giurisprudenza della Corte : infatti permarrebbe una differenziazione con le imprese derivanti dalle ex compagnie portuali e permarrebbero inoltre costi economici a carico delle imprese terminaliste ( e quindi di ESCI) costi economici che verrebbero ad incidere sulla stessa libera prestazione dei servizi interessati; in altre parole queste imprese non troverebbero in .concreto differenza alcuna, quanto ai costi, tra appaltare a terzi soggetti questi servizi oppure autoprodurli con personale proprio". 

5. Ha proposto ricorso per Cassazione l’INPS, deducendo due motivi. Resiste con controricorso la LSCT. Le parti hanno presentato memorie integrative. La difesa dell’INPS ha depositato note di udienza. 

Motivi della decisione

6. Col primo motivo del ricorso, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell’art. 360 n. 3 CPC., degli artt. 1 della Legge n. 1369.1960 ed I delle disposizioni sulla legge in generale, nonché vizio di motivazione: l’Istituto sottopone a critica l’iter argomentativo della sentenza di appello, sostenendo anzitutto come siano irrilevanti le argomentazioni socio-economiche contenute nella motivazione. Parimenti irrilevanti sono le argomentazioni fondate sulla legge del 1994, non applicabile al caso di specie. Sostiene invece il ricorrente l’applicabilità generalizzata della Legge n. 1369.1960 a seguito delle sentenze della Corte di Giustizia della Comunità Europea, non trascurando di evidenziare come nessuna delle aziende appaltatrici coinvolte nell’odierno procedimento risulti fornita di autorizzazione ad operare rilasciata dalla Capitaneria di Porto. Posto che il Codice della Navigazione è divenuto inapplicabile in tema di monopolio delle compagnie portuali, nulla osta a che la disciplina di cui alla legge citata si riespanda e che, nell’ ambito dei lavori portuali, viga comunque il divieto di interposizione di mano d’opera. Non a caso la successiva Legge n. 186.2000 ha espressamente riconosciuto nell’ambito dei porti una deroga alla disciplina di cui alla ridetta Legge n. 1369.1960 limitatamente alla fornitura di lavoro temporaneo. Si aggiunge che, in concreto, parte delle imprese suddette erano costituite per lavori di pulizia, carico e scarico, manovalanza in genere; tra loro non esiste un rapporto di concorrenza, ma una sorta di "mutuo soccorso", rimanendo unico referente la LSCT. Trattasi di datori di lavoro apparenti, costituiti quale schermo tra i lavoratori e la medesima LSCT. 

7. Il motivo è infondato. E’ noto che, nel sistema configurato dal Codice della Navigazione nell'ambito dei porti sussiste una deroga al generale divieto di intermediazione di mano d’opera, essendo riconosciuta in favore delLe compagnie dei lavoratori portuali la possibilità di fornire mano d’opera per le operazioni. Tale sistema è stato oggetto di dubbi in ragione non già della liceità della deroga (che del resto la Legge n. 1369.1960 prevede anche per altri tipi di lavoro) ma del monopolio che il predetto Codice della Navigazione riserva(va) alle compagnie. La Corte di Giustizia della Comunità Europea, nel quadro di una giurisprudenza costantemente attenta alle ragioni della libera concorrenza, ha ritenuto il contrasto tra Diritto Italiano e Diritto Comunitario. Due le sentenze significative riguardo al presente caso: la sentenza "Raso" e la sentenza "Gabrielli". 

8. Con la sentenza n. 179 del 20.12.1991, la Corte di Giustizia della Comunità Europea ha ritenuto che il Diritto Comunitario osta alla normativa di uno stato membro che conferisca ad un’impresa stabilita in questo stato il diritto esclusivo d’esercizio di operazioni portuali e le imponga di servirsi, per l’esecuzione di dette opere, di una compagnia portuale composta esclusivamente di maestranze nazionali, compagnia la quale non può essere ritenuta come incaricata della gestione di servizi di interesse generale. 

9. Con la sentenza "Raso" i cui estremi sono citati sopra, la Corte di Giustizia della Comunità Europea ha ritenuto che gli artt. 86 e 90 del Trattato CE ostano ad una disposizione nazionale che riservi ad una compagnia portuale il diritto di fornire lavoro temporaneo alle altre imprese operanti nel porto in cui essa è stabilita, qualora tale compagnia sia essa stessa autorizzata all’espletamento di operazioni portuali. In proposito," ha scarsa rilevanza che il giudice nazionale non abbia rilevato alcun abuso effettivo da parte della ex compagnia portuale trasformata". 

10. Dai principi affermati dalla Corte di Giustizia della Comunità Europea si ricava non già che nei porti viga un indiscriminato principio di divieto di intermediazione di mano d’opera o di fornitura di lavoro temporaneo, ma al contrario che tali forme di fornitura di mano d’opera sono lecite. Quello che è vietato al legislatore nazionale è la costituzione di un monopolio al riguardo, sia esso in favore di compagnie portuali ‘tout court’ ovvero di compagnie portuali ‘trasformate’. il principio desumibile dalla normativa interna è quindi nel senso che il diritto alla libera concorrenza e alla libera prestazione di servizi non si salvaguarda vietando per tutti l’appalto di mano d’opera all’interno dei porti, bensì assicurando la relativa attività a tutti gli operatori del settore, senza privilegiare un soggetto piuttosto che altri, come le compagnie portuali. 

11. L’evoluzione del diritto interno, posteriormente ai fatti per cui è causa , quindi non applicabile al caso di specie e da citare ‘ad colorandum’, dimostra come il legislatore non abbia inteso, almeno fino al 2000, attribuire alla Legge n. 1369.1960 la portata espansiva sostenuta dall’INPS, dopo le pronunce della Corte di Giustizia della Comunità Europea. L’art. 16 della Legge n. 84.1994 definisce le operazioni portuali come quelle inerenti al carico, scarico, trasbordo, deposito, movimento in genere delle merci e dei materiali: l’esercizio di tali attività può essere espletato per conto terzi da imprese autorizzate e con tariffe pubbliche. L’art. 17 prevede che, in caso di insufficienza di personale, le imprese suddette possano richiedere personale alle imprese ed ai gruppi portuali trasformati, a sensi dell’art. 21, in società o cooperative: il tutto in deroga espressa all’art. 1 della Legge n. 1369.1960. 

12. La Legge n. 186.2000 ha modificato la Legge n. 84.1994 aggiungendo che rientrano nei servizi portuali le prestazioni specialistiche, complementari ed accessorie al ciclo delle operazioni portuali. Alla categoria della "operazioni" portuali sono stati aggiunti i "servizi". E’ stato previsto in questa sede che le operazioni e i servizi non possono svolgersi in deroga alla Legge n. 1369.1960, salvo quanto previsto dall’art. 17; il quale a sua volta disciplina la fornitura di lavoro portuale temporaneo in deroga all’art. 1 della Legge n. 1369.1960 alle imprese di cui agli artt. 16 e 18 della Legge n. 84.1994, da parte di una impresa esclusivamente dedita alla fornitura di lavoro temporaneo. Il che sembra reintrodurre , a partire dal 2000, un monopolio per la fornitura di lavoro temporaneo, ma poiché si tratta di normativa non direttamente applicabile al caso di specie, non ricorrono i presupposti per un nuovo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia della Comunità Europea. Rimane il fatto che soltanto a partire dalla ‘novella’ del 2000 vi è un intervento del legislatore italiano per limitare il fenomeno dell’intermediazione di mano d’opera nei porti. 

13. Per quanto attiene alla distinzione tra effetti delle sentenze comunitarie in ordine alla libertà di concorrenza e alla tutela dei diritti dei lavoratori, rimane la considerazione che le sentenze della Corte di Giustizia della Comunità Europea hanno dichiarato il contrasto tra normativa nazionale e normativa comunitaria sotto il primo profilo; rimanendo compito del legislatore nazionale reprimere i possibili illeciti senza incorrere nuovamente nella violazione del Diritto Comunitario. L’effetto utile delle sentenze della Corte di Giustizia non è quello di vietare nei porti qualsiasi intermediazione, ma di rendere inapplicabili le norme che creano monopoli. In definitiva, la situazione normativa vigente tra il 1990 e il 1994 è nel senso che il lavoro nei porti può essere appaltato a più imprese in concorrenza tra loro, non può essere riservato ad una sola impresa appaltatrice di mano d’opera. 

14. Con il secondo motivo del ricorso, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell’art. 360 n. 3 CPC., degli artt. 3 della Legge n. 1369.1960 e 1 delle Preleggi, sotto il profilo che è stata disattesa la domanda subordinata dell’lNPS volta all’affermazione della responsabilità solidale dell’appaltante e dell’appaltatore: e ciò con la motivazione che l’applicazione di tale regola finirebbe per svuotare di contenuto la regola comunitaria. 

15. Ritiene questa Corte di Cassazione che il tema prospettato avrebbe meritato una maggiore attenzione ad opera delle parti nel giudizio, in quanto l’art. 3 cit. costituisce per l’appunto la norma di garanzia diretta a salvaguardare i diritti dei lavoratori anche in regime di libera fornitura di mano d’opera; in altri termini, l’art. 3 è la regola che segna il punto di incontro tra le esigenze di libera concorrenza e di tutela del lavoro dipendente . La domanda dell’lNPS al riguardo è stata rigettata nel merito con una motivazione che si potrà o meno condividere; ma appare decisiva la considerazione che essa non può trovare ingresso nel procedimento e va dichiarata inammissibile. Tale domanda, infatti, veniva proposta con la memoria di costituzione in primo grado dell’INPS con la seguente argomentazione: "Va detto che, in caso di ritenuta in operatività dell’art. 1, si ricadrebbe nella fattispecie dell’art. 3 dal momento che tale disposizione riguarda tutti gli appalti aventi ad oggetto un’attività inerente, sia pure in via sussidiaria o accessoria, al normale ciclo di produzione dell’impresa committente". 

16. Trattasi della norma per la quale gli imprenditori che appaltano opere o servizi, compresi i lavori di facchinaggio, di pulizia e di manutenzione ordinaria (contratti consentiti dalla legge) sono comunque tenuti in solido con l’appaltatore a corrispondere un trattamento retributivo minimo non inferiore a quello dei propri dipendenti; e sono pure tenuti in solido con l’appaltatore all’adempimento di tutti gli obblighi in tema di previdenza e assistenza. 

17. Nell’aggiungere alla propria domanda, azionata con decreto ingiuntivo, una ulteriore "causa pretendi" l’INPS avrebbe dovuto indicarne i presupposti anche in fatto, in particolare accertare che nessun contributo era stato versato da chicchessia ovvero se ed in quale misura i contributi fossero stati pagati dagli appaltatori e quale fosse la differenza da versare. La domanda doveva quindi essere dichiarata, anche di ufficio, inammissibile. 

18. Il ricorso, per i suesposti motivi, deve essere rigettato. Le spese del grado seguono la soccombenza e vengon  liquidate in dispositivo. 

PQM

La CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente INPS a rifondere all’intimato controricorrente L. S. C. T. spa le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 49,00 oltre Euro diecimila\00 per onorari, più spese generali ed accessori di legge.

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