Rimborso Iva, l'istanza di condono non "sana" la mancata inerenza

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Inviato da mario 09 Lug 2011 - 11:33

Il contribuente deve provare il nesso fra l'imposta pagata sui beni e le successive operazioni attive imponibili....



Il Fisco può verificare l'effettiva sussistenza dei requisiti per il rimborso dell'Iva chiesto dal contribuente, anche se quest'ultimo si è avvalso della normativa sui condoni (legge 289/2002).
In questi termini si è espressa la Cassazione - nella pronuncia 14061 del 27 giugno - che, nel respingere il ricorso proposto da un contribuente, ha affrontato, con argomentazioni ampiamente condivisibili, la questione relativa al rapporto tra condono e rimborso Iva e ha ribadito il principio secondo cui il rimborso dell'imposta deve essere sempre connesso a costi inerenti l'attività di impresa.

I fatti di causa

La vicenda ha origine dal diniego al rimborso Iva infrannuale (anno 2002) opposto dall'Amministrazione finanziaria a un contribuente, per l'acquisto di quadri e arredi vari ritenuti dall'ufficio beni non ammortizzabili e non inerenti l'attività commerciale.
Il ricorso proposto dal contribuente contro il diniego veniva respinto dalla Commissione tributaria provinciale, come pure il successivo appello.
In particolare, i giudici del gravame hanno ritenuto, per un verso, irrilevante l'istanza di condono, presentata dal contribuente ai sensi dell'articolo 7 della legge 289/2002 (rubricato "Definizione automatica di redditi di impresa e di lavoro autonomo per gli anni pregressi mediante autoliquidazione"), dall'altro, legittimo il diniego dell'ufficio, in quanto, trattandosi di costi per l'acquisto di beni suscettibili di utilizzazione indifferenziata, il contribuente non aveva provato il nesso di afferenza, cioè come potesse avvenire che l'imposta pagata a monte, per l'acquisizione di quadri e complementi d'arredo, fosse riferibile a successive operazioni attive imponibili o assimilate.Sempre secondo i giudici di appello, ricorrevano, inoltre, forti elementi indiziari sfavorevoli al ricorrente. Ad esempio, la circostanza che l'attività, nell'anno di riferimento, non era iniziata; che a seguito di un accesso da parte dei funzionari del Fisco presso i locali indicati, non era stata riscontrata alcuna attività commerciale; nonché, da ultimo, che le autorizzazioni amministrative necessarie per svolgere la prospettata attività erano state chieste successivamente ai fatti di causa.Il contribuente propone ricorso per Cassazione fondato su due motivi principali.
Con il primo, rappresenta che, avendo aderito alla definizione prevista dall'articolo 7 della legge 289/2002 - in assenza delle condizioni preclusive indicate nel comma 3 - l'ufficio non avrebbe potuto modificare l'importo di rimborsi e crediti.
Con il secondo motivo, il ricorrente si duole del vizio di ultrapetizione della sentenza di appello, in quanto l'ufficio - avendo negato il rimborso perché i beni acquistati nel 2002 non potevano ritenersi ammortizzabili - aveva poi illegittimamente ampliato, in sede giudiziale, le ragioni del diniego, estendendole alla non inerenza/afferenza della detrazione Iva (prevista dagli articoli 1 e 19 del Dpr Iva), all'accesso negativo presso la sede sociale e all'incompatibilità, per un ente non commerciale, di svolgere attività commerciale.L'istante ritiene, infatti, che - contrariamente a quanto affermato dai giudici di appello - anche se non vengono effettuate operazioni attive nell'anno d'imposta (per i motivi più disparati) non sussistono limiti normativi alla deducibilità dell'Iva.
Il giudizio della Cassazione

Per i giudici di legittimità entrambe le doglianze non meritano accoglimento. Relativamente al primo motivo, la Cassazione richiama l'ordinanza della Corte costituzionale 340/2005, con cui la Consulta si è espressa sulla legittimità costituzionale dell'articolo 9, comma 9, terzo periodo, della legge 289/2002 (secondo cui "La definizione automatica non modifica l'importo degli eventuali rimborsi e crediti derivanti dalle dichiarazioni presentate ai fini delle imposte sui redditi e delle relative addizionali, dell'imposta sul valore aggiunto, nonché dell'imposta regionale sulle attività produttive"), il cui testo è analogo a quello relativo alla definizione automatica di redditi d'impresa, contenuto nell'articolo 7, comma 3, ultimo periodo (di cui si discute).
In quella occasione, la Consulta ha precisato che la disposizione contenuta nell'articolo 9 (di tenore analogo a quella di cui all'articolo 7, comma 3, e quindi direttamente applicabile anche alla fattispecie in esame) "…va intesa nel senso che il condono non influisce di per sé sull'ammontare delle somme chieste a rimborso, non impone al contribuente la rinuncia al credito e non impedisce all'Erario di accogliere tali richieste, allorché la pretesa di rimborso sia riscontrata fondata…", e ancora, che la preclusione fissata nel successivo comma 10 dell'articolo 9 riguarda "…l'accertamento dei debiti tributari dei contribuenti che hanno ottenuto il condono, ma non impedisce l'accertamento dell'inesistenza dei crediti posti a base delle richieste di rimborso, data la natura propria del condono, che incide sui debiti tributari dei contribuenti e non sui loro crediti".
Sul principio di inerenza, poi, la Cassazione ricorda che, sulla base di un orientamento giurisprudenziale oramai consolidato, "…la detrazione dell'IVA non é ammessa in difetto del requisito dell'inerenza all'impresa (cfr. Cass. 14337/2002 e 9665/2000, in tema di operazioni materialmente inesistenti) e…in generale, il condono non vale di per sé a consolidare i crediti IVA richiesti a rimborso (cfr. Cass. 6429/1996 e 9646/1994)". Anche la seconda censura è manifestamente infondata.
A
l riguardo, la Cassazione ribadisce che, nel giudizio di impugnazione del rigetto di un'istanza di rimborso avanzata da un contribuente (come nel caso di specie), l'Amministrazione può prospettare in fase di controdeduzioni - senza che si determini vizio di ultrapetizione - argomentazioni giuridiche ulteriori rispetto a quelle che hanno formato la motivazione di rigetto dell'istanza in sede amministrativa. Ciò in quanto, il "…contribuente assume la posizione sostanziale di attore, che deve fornire la prova della propria domanda, mentre l'ufficio non ha esplicitato una 'pretesa' (impugnata dal contribuente), quale l'avviso di accertamento o di liquidazione, o la irrogazione di una sanzione (Cass. 10797/2010, 22567/2004…)".Infine, anche sulla deducibilità dell'Iva, la Cassazione ritiene di dover dare continuità all'orientamento prevalente "…secondo cui la facoltà di detrarre l'imposta assolta, in relazione a beni acquistati nell'esercizio d'impresa (d.p.r. 633 del 1972, art.19; dir. 77/388/Cee, art. 17), è accordata, quanto alle operazioni passive, se i beni acquisiti siano adoperati per le sue operazioni soggette a imposta".In buona sostanza, secondo la Corte, in ordine agli acquisti di beni, occorre accertare, ai fini delle detraibilità dell'imposta, che dette operazioni passive siano effettivamente inerenti all'esercizio sociale, cioè compiute con le finalità imprenditoriali, senza tuttavia che sia richiesto l'esercizio concreto della relativa attività (cfr, Cassazione 3692/2011).
Nel caso in esame, chiarisce la Cassazione, il ricorrente non ha prospettato una situazione tale da evidenziare, con sufficiente precisione, la finalità imprenditoriale propria del soggetto richiedente il rimborso e, dunque, l'inerenza degli acquisti fatti. Senza dimenticare, precisa infine la Corte suprema, che l'acquisto riguarda "…beni suscettibili di utilizzazione indifferenziata (taluni neppure ammortizzabili, Cass. 22021/2006), perché non connessi direttamente con l'attività oggetto specifico d'impresa".
In questa circostanza, pertanto, "…spettava alla contribuente provare, in applicazione della regola generale posta dall'art. 2697 cod. civ., l'utilizzazione specifica dei singoli beni, ovvero la destinazione degli stesso alle finalità di un'impresa ben definita, il che costituisce il fatto giuridico, non provato, da cui discende il preteso diritto alla detrazione (Cass. 3419/1992)".
Considerazioni finali

La pronuncia si pone in linea con altre sentenze della Cassazione per quanto riguarda il concetto di inerenza quale requisito fondamentale dell'attività di impresa in relazione al diritto di detrazione dell'Iva sugli acquisti (cfr, Cassazione, sentenza 805/2011, 16730/2007 e 8577/2006).
Né, tantomeno, tale regola subisce deroga alcuna a seguito di misure "clemenziali" di cui il contribuente si avvalga (condoni).
Viene pertanto ribadito sia il principio che l'acquirente può detrarre l'Iva addebitatagli a titolo di rivalsa dal venditore solo quando si tratti di acquisto effettuato nell'esercizio di impresa sia la necessità che i beni acquistati devono risultare strumentali rispetto all'attività svolta dall'impresa stessa.Ovviamente, spetterà al contribuente di dimostrare l'esistenza e l'inerenza della spesa sostenuta in relazione all'attività svolta.                                                                                         Marco Denaro

Fonte: www.fiscooggi.it [1]



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