Illegittime le cartelle di pagamento prive dell'indicazione del responsabile del procedimento

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Inviato da omnia-vv 19 Set 2008 - 18:02

LA QUESTIONE FINALMENTE ALL’ESAME DELLA CONSULTA.
Nulle le cartelle di pagamento prive dell'indicazione del responsabile del procedimento


il presente articolo, a firma dell'Avv. tributarista MARIA SUPPA è stato pubblicato ne "il Gazzettiere"

ILLEGITTIME LE CARTELLE DI PAGAMENTO PRIVE DELL’INDICAZIONE DEL RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO – LA QUESTIONE FINALMENTE ALL’ESAME DELLA CONSULTA

Premessa
L'articolo 7, secondo comma, lett. a) della legge del 27 luglio 2000, n. 212 impone all’Amministrazione finanziaria e ai Concessionari della riscossione (oggi Agenti della riscossione), di indicare nelle cartelle di pagamento il responsabile del procedimento, pena la nullità delle stesse.

La Corte Costituzionale – Ordinanza n. 377 dell’09/11/2007L’ordinanza della Corte Costituzionale n. 377 del 09/11/2007 trae origine dalla Commissione tributaria regionale del Veneto la quale, nel giudizio di appello in riferimento alla legittimità o meno di una cartella di pagamento emessa dal Concessionario e riferita all’iscrizione a ruolo dell’Ici dovuta da un contribuente al Comune, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 7, comma 2, lett. a) della legge 27/07/2000, (Statuto dei diritti del contribuente), nella parte in cui prevede che gli atti dei Concessionari della riscossione devono, così come gli atti emessi dall’Amministrazione finanziaria, tassativamente indicare, tra le altre cose, il responsabile del procedimento.

Inoltre, il remittente ha rilevato che le disposizioni, come quella censurata, si adattano bene all’attività procedimentale che gli Uffici della Pubblica amministrazione, in senso proprio, sono tenuti a svolgere al fine di emettere un provvedimento destinato ad incidere nella sfera giuridica del destinatario, mentre, al contrario, l’attività svolta dei Concessionari della riscossione, nella formazione della cartella di pagamento, non sarebbe equiparabile a quella di un vero e proprio procedimento (come vedremo nel paragrafo successivo, questa è, peraltro, la tesi sostenuta dall’Agenzia delle Entrate e da Equitalia S.p.A.).

I Giudici della Corte Costituzionale, dichiarando la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 7, comma 2, lett. a), della legge n. 212/2000 cit., hanno specificato che “…ogni provvedimento amministrativo è il risultato di un procedimento, sia pure il più scarno ed elementare, richiedendo, quanto meno, atti di notificazione e di pubblicità; l’articolo 7 della legge n. 212 del 2000 si applica ai procedimenti tributari (oltre che dell’amministrazione finanziaria) dei concessionari della riscossione, in quanto soggetti privati cui compete l’esercizio di funzioni pubbliche, e che tali procedimenti comprendono sia quelli che il giudice a quo definisce come <procedimenti />(che culminano, cioè, in provvedimenti di contenuto omogeneo o standardizzato nei confronti di innumerevoli destinatari), sia quelli di natura non discrezionale”.

Di più, secondo la Corte, l’obbligo imposto ai concessionari di indicare nelle cartelle di pagamento il responsabile del procedimento, non assolve solo ad un adempimento di natura normativa ma ha lo scopo di assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa, la piena informazione del cittadino e la garanzia del diritto di difesa, che sono aspetti ineludibili del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione.

Per il Giudice delle leggi, quindi, la mancata indicazione, nella cartella di pagamento, del responsabile del procedimento, viola i fondamentali principi di buon andamento e trasparenza dell’azione della pubblica amministrazione, sanciti espressamente dall’articolo 97 della Costituzione ed attuati, in materia tributaria, dall’articolo 7 cit..

La Corte Costituzionale ha, quindi, ritenuto indispensabile l’indicazione e la sottoscrizione del responsabile del procedimento, poiché la cartella di pagamento è atto direttamente produttivo di conseguenze giuridiche nella sfera patrimoniale del contribuente, il quale, quindi, deve necessariamente essere messo nelle condizioni di conoscere, in modo chiaro, l’autore dell’atto (la cartella, appunto) per proporre contestazioni e far emergere eventuali responsabilità.

Strumentale all’esercizio del diritto di difesa, infatti, risulta la necessaria conoscenza del funzionario responsabile del procedimento (come del resto puntualmente specificato nel testo di legge).

La giurisprudenza di merito sul puntoL’obbligo imposto ai Concessionari (ora agenti della riscossione) di indicare nelle cartelle di pagamento il responsabile del procedimento, ha affermato la Consulta, lungi dall’essere un inutile adempimento, ha lo scopo di assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa, la piena informazione del cittadino (anche ai fini di eventuali azioni nei confronti del responsabile) e la garanzia del diritto di difesa, che sono altrettanti aspetti del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione predicati dall’articolo 97, primo comma, della Costituzione.

Alla chiara affermazione della Corte hanno fatto seguito numerose pronunce giurisprudenziali, la maggior parte favorevoli al contribuente.

In particolare, la Commissione tributaria provinciale di Lecce, con la sentenza n. 517/2/07 e la Commissione tributaria provinciale di Lucca, con la sentenza n. 163/03/07, hanno affermato che l’indicazione del responsabile del procedimento costituisce un requisito fondamentale della cartella esattoriale e, pertanto, la sua omissione ha come conseguenza l’illegittimità della cartella medesima.

Ancor più interessante e degna di apprezzamento è, poi, la sentenza della Commissione provinciale di Piacenza n. 103/02/07; con la pronuncia de qua, infatti, i giudici di prime cure, non solo hanno annullato la cartella di pagamento perché priva dell’indicazione del responsabile del procedimento ma hanno, altresì, correttamente condannato l’Agente della riscossione alle spese di giudizio.

Giova, altresì, sottolineare che, già prima della pronuncia della Corte Costituzionale, alcune Commissioni tributarie avevano annullato le cartelle di pagamento prive dell’indicazione del responsabile del procedimento facendo correttamente derivare la nullità dell’atto de quo direttamente dall’articolo 7 della legge n. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente); in tal senso, infatti, si sono, infatti, pronunciate: la Commissione tributaria regionale del Veneto, con la sentenza n. 56/8/06 dell’08/11/2006; la Commissione tributaria regionale del Veneto, con la sentenza n. 61 del 26/09/2002; la Commissione tributaria I grado di Trento, con la sentenza n. 85, del 07/11/2003, la Commissione tributaria provinciale di Milano, con la sentenza n. 178 del 10/6/2002 e la Commissione tributaria provinciale di Rovigo, con la sentenza n. 96 del 30/04/2001.

La posizione dell’Agenzia delle Entrate e di Equitalia S.p.A. - La circolare del 06 marzo 2008, n. 16/E Per l’Agenzia delle Entrate e per Equitalia S.p.A la mancata indicazione del responsabile del procedimento è una “mera irregolarità”, non suscettibile di determinare l’annullabilità della cartella.

In sostanza, secondo Equitalia, l’indicazione del responsabile del procedimento non influisce sul contenuto della cartella di pagamento. La cartella, infatti, non è altro che la fotografia del ruolo formato e consegnato dall’ente creditore (Agenzia delle Entrate, Inps, Comuni) in conformità al modello approvato con decreto ministeriale. L’agente della riscossione deve, quindi, riportare esattamente le informazioni del ruolo, senza poter inserire modifiche.

L’attività dei Concessionari può dar luogo, quindi, tutt’al più, a procedimenti di massa, caratterizzati in modo pressoché assoluto dall’elemento tecnico organizzativo e dall’uniformità delle operazioni, trattandosi di trasfondere il contenuto dei ruoli ricevuti dall’Agenzia delle Entrate in singole cartelle destinate individualmente ai contribuenti, senza alcuna possibilità di apprezzamento, tanto più di natura discrezionale.
Pertanto, nei giudizi promossi dai contribuenti, le società del gruppo Equitalia chiederanno ai giudici l’applicazione dell’articolo 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 07/08/1990.
 

Secondo la norma, infatti, sottolinea la direttiva di gruppo prot. n. 2008/228, “non è annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolante del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Con la circolare n.16/E del 06 marzo 2008, l’Agenzia delle Entrate, allo scopo di far fronte al nutrito contenzioso determinatosi a seguito dell’ordinanza della Consulta, ha dettato le linee guida per gli Uffici locali sul comportamento da adottare in giudizio.

Giova preliminarmente sottolineare che la predetta circolare, così come tutte le circolari con le quali l’Agenzia delle Entrate interpreta una norma tributaria, esprime esclusivamente un parere dell’Amministrazione in nessun modo vincolante per il contribuente né tanto meno per il Giudice tributario (in tal senso si è pronunciata la Corte di cassazione a Sezioni Unite con la sentenza del 02/11/2007 n. 23031).

Oltretutto, la circolare n.16/E cit. non ha aggiunto nulla di nuovo alle ormai ben note e, ad avviso di chi scrive, assolutamente poco convincenti, argomentazioni addotte dall’Agenzia delle Entrate e da Equitalia S.p.A. nel tentativo di “salvare” le cartelle di pagamento emanate dal vizio di nullità.

Del tutto inopportuno e privo di rilievo appare, infatti, il richiamo alle disposizioni sugli atti amministrativi generali contenute nella legge n. 241 del 07/08/1990 (in particolare, l’Agenzia delle Entrate ha richiama le disposizioni relative alla partecipazione al procedimento amministrativo: art. 8 e seguenti e quelle relative al responsabile del procedimento: art.5 e seguenti della medesima legge).

Al riguardo, giova sottolineare che l’articolo 7 della legge 27/07/2000, n.212 reca norme di carattere procedimentale specificatamente indirizzate agli atti amministrativi emessi dall’Amministrazione finanziaria e dagli agenti della riscossione. Ossia norme che indubbiamente si pongono in regime di specialità rispetto alle disposizioni sugli atti amministrativi generali, cui si applicano le disposizioni della legge 241/1990.

Orbene, nel regime delle fonti, una norma speciale non può mai essere derogata da norme aventi carattere generale, ancorché posteriori.

Oltretutto, è proprio la stessa legge n. 241/1990 cit. che all’articolo 13 dispone espressamente che le disposizioni sulla formazione e partecipazione al procedimento amministrativo: “non si applicano ai procedimenti tributari per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano…”.

Certamente inopportuna, appare, altresì, la giurisprudenza richiamata nella circolare poiché relativa all’interpretazione da parte della Corte di Cassazione di disposizioni (artt. 5 e 8 della legge n. 241/1990) che, come detto, non possono derogare e sostituirsi alla disciplina specifica e speciale degli atti amministrativi emessi dall’Amministrazione finanziaria e dagli agenti della riscossione contenuta nell’articolo 7 della legge n. 212/2000 (verrebbe, altresì, da chiedersi perché mai l’Amministrazione finanziaria abbia attributo grande rilievo all’interpretazione fornita dalla Cassazione sugli articoli 5 e 8 della legge n.241/1990 e consideri, invece, priva di alcun valore la lettura fornita dalla Corte Costituzionale dell’articolo 7 cit.).

Quanto, poi, alle direttive fornite dall’Agenzia delle Entrate agli Uffici locali per la gestione delle controversie, in realtà, l’Amministrazione finanziaria si è limita a “passare la patata bollente” a Equitalia; l’Agenzia, infatti, invita gli Uffici “…ad eccepire in via pregiudiziale l’imputabilità di tale vizio all’agente della riscossione”.

Sul punto

Pur comprendendo le ragioni, legate indubbiamente all’esigenza di salvaguardia del gettito erariale, che sin dall’inizio hanno condizionato la posizione assunta sulla questione da Equitalia e dall’Agenzia delle Entrate, non può non rilevarsi l’assoluta inconsistenza giuridica delle stesse.

E’, infatti, giuridicamente inaccettabile sostenere che la mancata indicazione del responsabile del procedimento costituisce una “mera irregolarità”; cerchiamo di capirne il perché.

Il dato di partenza è costituito dall’articolo 7, comma 2, lettera a), della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente) che così recita: “…Gli atti dell’amministrazione finanziaria e dei concessionari della riscossione devono tassativamente indicare:

a) l’ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all’atto notificato o comunicato e il responsabile del procedimento…”.
Preliminarmente, giova sottolineare che l’interpretazione della legge deve sempre avvenire secondo quanto espressamente previsto dall’articolo 12 delle preleggi. Indubbiamente, l’interpretazione non può essere solo letterale, non si vuole certo ridare voce all’antico brocardo in claris non fit interpretatio, ma si presti attenzione a non cadere nell’opposto errore di non dare importanza al testo di legge e, peggio ancora, di “trasformare” lo stesso.

Certamente, l’interpretazione dovrà essere letterale e logica al tempo stesso, ma ogni interpretazione che contrasti con il testo di legge determina una forzatura.

Ciò specificato, l’avverbio “tassativamente” deve essere necessariamente (visto che il Legislatore lo ha inserito) essere preso in considerazione nel caso specifico allo scopo di addivenire al risultato ermeneutico da attribuire all’artico 7, della legge citata.

Cosa significa, quindi, tassativamente? Ebbene, detto avverbio significa: categoricamente, assolutamente, indispensabilmente. Di più, il suo contrario è: derogabile.

Se è vero, come è vero, che tassativamente significa indispensabilmente, categoricamente e che non si può derogare a quanto prescritto, allora risulta impensabile e contrario ad un risultato esegetico corretto poter sostenere che la mancata indicazione del responsabile del procedimento costituisca una “mera irregolarità”.

Al riguardo, non può non rilevarsi che la Corte di Cassazione in più occasioni ha sottolineato come il significato e la portata di una norma possano desumersi, anche in mancanza di una espressa previsione legislativa, dal tenore letterale e logico della stessa, nonché dallo scopo e dal fine che la norma persegue.

Si pensi, ad esempio, alla natura perentoria o ordinatoria dei termini fissati dalla legge; l’articolo 152 c.p.c., infatti, stabilisce espressamente che i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori.

Orbene, la Cassazione ha chiarito in più occasioni che: “… sebbene l’articolo 152 c.p.c. disponga che i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, salvo che questa li dichiari espressamente perentori, non si può da tale norma dedurre che, ove manchi una esplicita dichiarazione in tal senso, debba senz’altro escludersi la perentorietà del termine perché nulla vieta…di indagare se, a prescindere dal dettato della norma, un termine, per lo scopo che persegue e la funzione che adempie, debba essere rigorosamente osservato…”(ex multis: Corte di Cassazione, sentenza n. 1771 del 30/01/2004, con riferimento all’articolo 32 del D.Lgs n. 546/1992 che disciplina i termini per il deposito di documenti e memorie durante il processo; Corte di Cassazione, sentenza n. 5097 del 09/03/2005 in tema di termini di notifica della cartella di pagamento ex articolo 25 D.P.R. n. 602/1973 prima delle ultime modifiche).

D’altra parte, la Corte Costituzionale con il proprio intervento, ha definitivamente fugato ogni dubbio al riguardo, laddove ce ne fosse bisogno.

E’, infatti, inaccettabile, su di un piano squisitamente giuridico oltrechè logico, voler sostenere che la violazione di una norma posta a garanzia di fondamentali principi costituzionali, quali, appunto, il principio di buon andamento e trasparenza dell’azione della pubblica amministrazione, nonché il diritto di difesa, sanciti espressamente dagli articoli 97 e 24 della Costituzione ed attuati, in materia tributaria, dall’articolo 7 cit., possa costituire una mera irregolarità.

A ben vedere, quindi, la questione su cui la Corte è stata chiamata a decidere è se sia conforme a Costituzione o meno una norma che preveda la nullità di un atto emesso dal Concessionario della riscossione (nello specifico una cartella di pagamento) nel caso in cui lo stesso manchi dell’indicazione del responsabile del procedimento amministrativo che ha portato all’emissione dell’atto stesso.

Ed, infatti, la stessa Avvocatura generale dello Stato, costituitasi per la Presidenza del Consiglio dei ministri, ha correttamente rilevato che “…l’eventuale dichiarazione di incostituzionalità della norma, facendo venire meno l’obbligo di indicare il responsabile del procedimento, comporterebbe che la mancanza o l’insufficienza di tale indicazione non sarebbe oggetto di un dovere sanzionabile con la declaratoria di illegittimità della cartella di pagamento”.

Assolutamente inconsistente, quindi, poichè specificatamente affrontata dalla Corte con l’ordinanza in commento è la tesi di Equitalia circa la superfluità dell’indicazione del responsabile del procedimento in considerazione del fatto che l’attività di formazione delle cartelle di pagamento da parte degli Agenti della riscossione non pare configurabile come un vero e proprio procedimento, limitandosi ad una mera trasposizione del ruolo così come formato dall’ente impositore.

Invero, le predette argomentazioni, oggi addotte dall’Agenzia delle Entrate e da Equitalia S.p.A a sostegno della propria tesi, sono le stesse sollevate dalla Commissione tributaria regionale del Veneto che ha portato la questione all’attenzione della Corte.

Secondo la Commissione remittente, infatti, disposizioni come l’art.7 cit “…si attagliano bene all’attività procedimentale che gli uffici della pubblica amministrazione in senso proprio sono tenuti a svolgere al fine di emettere un provvedimento destinato ad incidere nella sfera giuridica del destinatario, mentre, al contrario, l’attività svolta dai concessionari della riscossione al fine di formare la cartella non pare configurabile come un vero e proprio procedimento…”.

Ancora, secondo la Commissione remittente “…l’attività degli Agenti della riscossione può dar luogo, tutt’al più, a procedimenti di massa, caratterizzati in modo pressoché assoluto dall’elemento tecnico e organizzativo e dall’uniformità delle operazioni, trattandosi di “trasfondere” il contenuto dei ruoli ricevuti dall’Agenzia delle Entrate in singole cartelle destinate individualmente ai contribuenti, senza alcuna possibilità di apprezzamento di natura discrezionale…”.

Orbene, la Corte Costituzionale ha ritenuto del tutto inconsistenti e prive di pregio le argomentazioni addotte dalla Commissione tributaria regionale rimettente (le stesse oggi proposte da Equitalia e dall’Agenzia delle Entrate) e le ha, quindi, rigettate con motivazioni ineccepibili poichè fondate sul richiamo chiaro e forte all’esigenza di assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa, la piena informazione del cittadino e la garanzia del diritto di difesa, che sono altrettanti aspetti del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione predicati dall’articolo 97, primo comma, Cost.

Si legge, infatti, nell’ordinanza n. 377 cit. che “…ogni provvedimento amministrativo è il risultato di un procedimento, sia pure il più scarno ed elementare, richiedendo, quanto meno, atti di notificazione e di pubblicità; l’articolo 7 della legge n. 212 del 2000 si applica ai procedimenti tributari (oltre che dell’amministrazione finanziaria) dei concessionari della riscossione, in quanto soggetti privati cui compete l’esercizio di funzioni pubbliche, e che tali procedimenti comprendono sia quelli che il giudice a quo definisce come <procedimenti />(che culminano, cioè, in provvedimenti di contenuto omogeneo o standardizzato nei confronti di innumerevoli destinatari), sia quelli di natura non discrezionale”.

Il D.L n. 248/2007 e l’iniqua sanatoria a favore di Equitalia S.p.A.L’articolo 36, comma 4-ter del decreto legge del 31/12/2007, n.248, convertito, con modifiche, nella legge n. 31 del 28/02/2008, è un testo normativo a dir poco sconcertante.

La predetta disposizione, infatti, sanziona con la nullità le cartelle di pagamento prive dell’indicazione del responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo, nonché di quello di emissione e di notificazione delle cartelle stesse; la nullità è, tuttavia, esclusa se la mancata indicazione concerne le cartelle relative a ruoli consegnati agli agenti della riscossione prima del 1 giugno 2008.

In sostanza, si tratta di una sanatoria gigante, neppure tanto nascosta, che tenta di porre rimedio al disastro giuridico evidenziato da molte Commissioni tributarie che avevano rimarcato la nullità della cartella di pagamento se priva dell’indicazione del responsabile del procedimento ex articolo 7 dello Statuto dei diritti del contribuente.

E’ vero che le cartelle di pagamento possono riguardare importi rilevanti per debiti da imposte ma, altrettanto vero è che, in uno Stato di diritto, vi sono regole scritte di convivenza che vanno rispettate. La “parità delle armi” tra Stato e cittadino è la prima regola da rispettare. Quando lo Stato non rispetta le sue leggi, deve pagare come avviene per i cittadini.

Va, quindi, respinto perchè inaccettabile, qualsiasi intervento volto a privilegiare la convenienza dello Stato rispetto a quella del cittadino.

Diversamente opinando, saremmo in presenza di uno Stato autoritario e di cittadini sudditi.

Il citato articolo 36, comma 4-ter, si risolve in un attentato alla legalità tributaria che è uno dei pilastri del sistema fiscale posto allo scopo di contenere la discrezionalità dell’Amministrazione finanziaria della quale oggi Equitalia è organo.

Peraltro, siffatto inaccettabile modus operandi è stato oggetto di espressa e specifica censura da parte della stessa Corte di Cassazione che con la fondamentale pronuncia n. 25506 del 30/11/2006, a Sezioni Unite, ha fortemente criticato e condannato gli interventi del Legislatore che, afferma la Cassazione: “sono sempre pro Fisco, in quanto dettati da ragioni di cassa (nell’intento di realizzare maggiori entrate). Non sono ispirati, quindi, alla esigenza di realizzare la certezza del diritto, ma soltanto a garantire gli interessi di una delle parti in causa. Ciò non facilita l’instaurarsi di un rapporto di fiducia tra amministrazione e contribuente, basato sul principio della collaborazione e della buona fede, come vorrebbe lo Statuto del contribuente (art.10 comma 1, legge 212/2000)….La pubblica amministrazione, infatti, anche quando è parte in causa, ha sempre l’obbligo di essere e di apparire imparziale, in forza dell’articolo 97 della Costituzione…”.

L’articolo 36, comma 4-ter cit., inoltre, si pone in netto contrasto con lo Statuto dei diritti del contribuente; la legge n. 212 del 27/07/2000, invero, fissa i principi generali dell’ordinamento tributario cui devono attenersi il Legislatore, nell’esercizio del suo potere normativo discrezionale e l’Amministrazione finanziaria, nell’esercizio dell’attività amministrativa.

Al riguardo, giova sottolineare che la Corte di Cassazione ha più volte sottolineato che le norme dello Statuto dei diritti del contribuente sono norme di attuazione dei principi costituzionali fissati dagli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione e, sono, quindi, “norme di rango costituzionale”, applicabili, in virtù dell’interpretazione adeguatrice, sia ai rapporti sorti prima dell’entrata in vigore della Legge n. 212/2000 cit., sia a rapporti fra contribuente ed ente impositore diverso dall’Amministrazione dello Stato, sia a elementi di imposizione diversi da sanzioni e interessi.

Per la Suprema Corte, infatti, lo Statuto ha la funzione di orientamento ermeneutico o applicativo vincolante nella interpretazione del diritto e qualsiasi dubbio interpretativo o applicativo sul significato e sulla portata di qualsiasi disposizione tributaria deve, attesa la superiorità assiologica dei principi espressi o desumibili dalle disposizioni dello Statuto, essere risolto dall’interprete nel senso più conforme ai principi contenuti nella legge n. 212/2000 cit..

I principi posti dalla predetta legge, infatti, proprio in quanto esplicitazioni generali, nella materia tributaria, delle richiamate norme costituzionali, debbono ritenersi “immanenti” nell’ordinamento stesso già prima dell’entrata in vigore dello Statuto e, quindi, vincolanti l’interprete in forza del canone ermeneutico della “interpretazione adeguatrice” a Costituzione: cioè, del dovere dell’interprete di preferire, nel dubbio, il significato e la portata della disposizione interpretata conformi a Costituzione (ex multis: Corte di Cassazione, sentenza n. 17576/2002; Corte di Cassazione, sentenza n. 7080/2004; Corte di Cassazione, sentenza n. 21513/2006).

A ciò si aggiunga che negli ultimi dieci anni la stessa Corte Costituzionale ha affrontato ripetutamente l’incidente di costituzionalità relativo alla retroattività delle norme di legge e, pur nella varietà delle fattispecie, l’orientamento seguito dalla Consulta non ha mai lasciato spazio ad equivoci di sorta.

La Corte Costituzionale, infatti, ha sempre riconosciuto, nel divieto generale di retroattività della legge, un principio generale dell’ordinamento, nonché un fondamentale valore di civiltà giuridica a cui il legislatore deve attenersi.

Pertanto, secondo la giurisprudenza costituzionale, “il legislatore ordinario può, nel rispetto di tale limite, emanare norme retroattive, purché trovino adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si pongano in contrasto con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti, così da non incidere arbitrariamente sulle situazioni sostanziali poste in essere dalle leggi precedenti, se queste condizioni sono osservate, la retroattività, di per se da sola, non può ritenersi elemento idoneo ad integrare un vizio della legge” (sent. n.432 del 1997).

In particolare, i limiti posti dai giudici della Consulta attengono, oltre che a principi costituzionalmente cristallizzati, ad altri fondamentali valori di civiltà giuridica posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza (che ridonda nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento); la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (sent. n.6 del 1994).

Evidenti e rilevanti profili di incostituzionalità dell’articolo 36, comma 4-ter del decreto legge n. 248 del 31/12/2007, convertito, con modifiche, dalla legge n. 31 del 28 febbraio 2008

Diversi e rilevanti sono, a parere di chi scrive, i profili di incostituzionalità della disposizione in oggetto, in relazione agli articoli 3, 24, 53 e 97 della Costituzione.

In particolare, appare evidente l’assoluta irrazionalità, irragionevolezza, nonché la palese illogicità, incoerenza e contraddittorietà, rispetto al contesto normativo preesistente, della norma de qua nel riconoscere formalmente la nullità (eventuale) per l’ipotesi di una improbabile violazione futura e nel negare, invece, altrettanto formalmente, la nullità per la violazione dell’identica norma nel presente e nel passato, in realtà già verificatasi e, spesso, concretamente contestata, in un contesto complessivo che, al contrario, si caratterizza per l’assoluta parità di condizioni e che, quindi, esige corrispondente parità di trattamento giuridico secondo le note cadenze giurisprudenziali fissate dalla Consulta.

Non può non rilevarsi, altresì, l’evidente disparità di trattamento (in spregio al principio costituzionale di uguaglianza e di diritto alla difesa) della predetta disposizione che nel riconoscere l’invalidità delle cartelle di pagamento prive del nominativo del funzionario responsabile del procedimento che saranno emesse successivamente al 1 giugno 2008 lascia intendere che il medesimo obbligo fosse necessario anche per gli atti più risalenti, con la conseguenza che il contribuente che riceverà una cartella di pagamento priva della predetta indicazione potrà far valere, con successo, la nullità dell’atto impositivo e beneficiare, quindi, di un trattamento diverso ed indubbiamente migliore, rispetto al “povero” contribuente che ha ricevuto una cartella (magari relativa alla medesima imposta e fondata sui medesimi presupposti) prima di quella data.

La disposizione in oggetto mostra, inoltre, evidenti profili di illegittimità costituzionale in relazione all’articolo 97 della Costituzione.

Al riguardo, giova sottolineare che l’indicazione del responsabile del procedimento prevista espressamente e tassativamente dall’articolo 7, secondo comma, lettera a) della legge n. 212/2000 risponde all’esigenza di garantire la trasparenza e l’imparzialità dell’azione dell’Amministrazione finanziaria nonché il diritto di informazione del contribuente.

La cartella di pagamento, infatti, è atto direttamente produttivo di conseguenze giuridiche nella sfera patrimoniale del contribuente, il quale, quindi, deve necessariamente essere messo nelle condizioni di conoscere, in modo chiaro, l’autore dell’atto (la cartella, appunto) per proporre contestazioni e far emergere eventuali responsabilità.

La cartella di pagamento, infatti, quale atto autoritativo amministrativo che incide sulla sfera giuridico-patrimoniale del contribuente, deve contenere determinati requisiti, essenziali per la propria giuridica esistenza e validità, in particolare l’indicazione, ex articolo 7 cit., del responsabile del procedimento; non basta, quindi, il semplice rispetto, da parte del Concessionario (oggi Agente della riscossione), del modello ministeriale.

Oltretutto, giova sottolineare che l’attività degli agenti della riscossione è caratterizzata da evidenti ed incontestabili profili di responsabilità, si pensi, ad esempio, a come avviene il calcolo degli interessi di mora, o ad altri elementi indicati nel ruolo e non riportati nella cartella.

La Corte Costituzionale, infatti, con l’ordinanza n. 377/2007 ha chiarito in modo definitivo che l’obbligo imposto ai concessionari di indicare nelle cartelle di pagamento il responsabile del procedimento è elemento inscindibile di trasparenza, informazione del cittadino e garanzia del diritto di difesa “… che sono altrettanti aspetti del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione predicati dall’articolo 97, primo comma, Cost….”.

Diritti, questi ultimi, la cui tutela costituzionale non può essere limitata ad un ambito temporale definito.

Finalmente la Corte Costituzionale viene investita della questione

Nonostante l’entrata in vigore del “Milleproroghe”, diverse Commissioni tributarie (tra le atre, Commissione tributaria provinciale di Messina, sez.VIII, sentenza 11/06/1008, n.255/8/08) hanno accolto i ricorsi dei contribuenti ritenendo, correttamente, che la mancata indicazione del responsabile del procedimento determini la nullità della cartella di pagamento, così come chiarito dalla Consulta con l’ordinanza 377/2007 cit. e come, del resto, riconosciuto e ribadito dallo stesso Legislatore che, infatti, con l’articolo 36, comma 4-ter ha previsto espressamente la sanzione della nullità per le cartelle prive della predetta indicazione sebbene abbia limitato temporalmente l’efficacia della predetta sanzione (con deroga illegittima allo Statuto dei diritti del contribuente).

Degna di maggior apprezzamento è, però, la scelta di sollevare la questione di illegittimità costituzionale dell’articolo 36, comma 4-ter cit. operata dalla Commissione tributaria regionale di Venezia, Sez. XXVIII (ordinanza n.8 pronunciata l’11 marzo 2008 e dep. il 10 giugno 2008) e dalla Commissione tributaria provinciale di Bari (ordinanza n. 152/16/08, pronunciata il 03/16/2008 e depositata in data 17/07/2008).

I Giudici del merito, infatti, hanno, portato all’attenzione della Consulta una norma che, come detto, presenta evidenti profili di incostituzionalità in relazione agli articoli 3, 24 e 97 della Costituzione.

Avvocato tributarista

Maria Suppa



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