Ricorda la Corte di cassazione che è errato sostenere che nella valutazione dei beni aziendali non si debba tenere conto dell'aziendalità dei beni.
Come rilevato da precedente giurisprudenza, nella determinazione del valore venale in comune commercio del bene immobile aziendale, non si può escludere del tutto il riferimento al fatto che il bene concorre a formare il complesso-azienda.
Però il criterio dell'aziendalità del bene non deve essere assunto in modo assoluto ossia senza avere riguardo alla funzione che il bene esplica nella realtà aziendale ma si deve valutare la sua concreta destinazione nell'ambito della organizzazione aziendale.
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Oggetto: Imposta di registro - Trasferimento di azienda - Valutazione dei beni trasferiti - Criterio della aziendalità dei beni - Rilevanza - Limiti - Art. 51 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131
Svolgimento del processo
1. L'A. S.r.l. impugnò dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano un avviso di accertamento per Invim e imposta di registro relativo all'atto in data 9 maggio 1996 con il quale l'A. S.p.a. - successivamente incorporata da E. S.p.a. - aveva ceduto all'A. S.r.l. un'azienda in Bagnoregio (VT).
La società si doleva delle modalità di determinazione del valore degli immobili aziendali, della valutazione dell'avviamento e del disconoscimento, ai fini Invim, di spese incrementative.
Il ricorso venne accolto solo relativamente alla valutazione dell'avviamento.
Propose appello la società contro la sentenza di primo grado, sostanzialmente riproponendo le censure non accolte, e la Commissione tributaria regionale della Lombardia accolse il gravame limitatamente alle spese incrementative delle quali era stata esclusa la computabilità.
Nel rigettare l'appello sul punto relativo alla valutazione degli immobili aziendali, afferma la Commissione regionale che il valore dei singoli beni va stimato "prescindendo dalla circostanza che essi concorrano a formare il complesso azienda e che solo per gli immobili (e non per l'azienda nel suo complesso) 'si intende per valore venale il valore in comune commercio' (art. 51, comma 2)".
2. Avverso la sentenza di secondo grado, nella parte in cui ha rigettato il gravame, l'A. S.r.l. propone ricorso per cassazione nei confronti del Ministero delle Finanze e dell'Agenzia delle Entrate di Milano, affidato ad un solo motivo ed illustrato da successiva memoria.
Gli intimati resistono con controricorso.
Chiamata all'udienza del 3 novembre 2004, la causa è stata rinviata a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni Unite riguardo alla legittimazione processuale degli uffici periferici dell'Agenzia delle Entrate.
Motivi della decisione
1. Alla luce della sentenza delle Sezioni Unite n. 3118 del 2006, risulta superato il dubbio relativo all'ammissibilità del ricorso per cassazione proposto nei confronti dell'ufficio periferico dell'Agenzia delle Entrate. Il vizio della notifica - effettuata presso l'Avvocatura generale dello Stato invece che presso l'ufficio - risulta sanato dalla costituzione in giudizio.
2. Con l'unico motivo l'A. S.r.l. censura - sotto il profilo della violazione e falsa applicazione degli artt. 51 e 52 del D.P.R. n. 131 del 1986 e sotto quello della conseguente illogicità della motivazione - l'assunto, posto a base della decisione, secondo il quale la valutazione dei beni aziendali va effettuata singolarmente, a prescindere dalla circostanza che gli stessi facciano parte di un'azienda.
2.1. Il mezzo è fondato, nei termini di seguito precisati.
Questa Corte ha affermato che "nella determinazione del valore venale in comune commercio del bene immobile di un'azienda, non si può prescindere in modo assoluto dalla sua aziendalità" (Cass. n. 23804/2004), cosicché il principio di diritto applicato dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia - secondo cui il valore dei singoli beni immobili aziendali va al contrario stimato "prescindendo dalla circostanza che essi concorrano a formare il complesso-azienda" - si rivela errato.
Come già è stato chiarito nella citata sentenza n. 23804/2004, ciò non vuol dire che sia conforme a legge la pretesa della parte ricorrente che il criterio dell'aziendalità dei beni immobili si applichi in maniera assoluta e cioè a prescindere da qualsiasi considerazione riguardo alla funzione del bene nella struttura aziendale. Una corretta interpretazione dei commi 2 e 4 dell'art. 51 del D.P.R. n. 131 del 1986 impone al contrario che si tenga conto, ai fini della valutazione del valore venale in comune commercio, "delle relazioni di struttura aziendale di ciascun bene ceduto come bene dell'azienda" (così, ancora, la sentenza n. 23804/2004) e dunque della sua concreta destinazione (a bene strumentale alla produzione ovvero a bene destinato alla produzione di reddito o alla vendita) nell'ambito dell'organizzazione aziendale.
3. La sentenza impugnata - che ha invece negato qualsiasi rilevanza all'aziendalità dei beni oggetto dell'accertamento - va pertanto cassata, con rinvio ad altra Sezione della Commissione tributaria regionale della Lombardia, che farà applicazione del principio di diritto enunciato sub 2.1. e provvederà altresì sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della Commissione tributaria regionale della Lombardia.